I Programmi del Corso di Diploma Accademico di 1° Livello in Recitazione dell'Accademia Internazionale di Teatro sono strutturati in insegnamenti prevalentemente pratici a cui si affiancano insegnamenti teorici a supporto della formazione accademica.
Il periodo di studio si apre con la ricerca dello “stato neutro”, ovvero uno stato di totale apertura, preparatorio a qualunque successiva applicazione stilistica, che precede ogni azione e che ci pone in una condizione di scoperta in relazione allo spazio che ci circonda e agli altri predisponendoci all’ascolto, alla recettività. L’attore deve prima prendere coscienza della propria postura, dei suoi gesti quotidiani e dei segnali che con questi esprime, per distaccarsi da essi ed andare alla ricerca di una presenza scenica più limpida e versatile.
Nella ricerca dello “stato neutro” è fondamentale lo strumento della maschera neutra o inespressiva. Si tratta di una maschera propedeutica che cancella la mimica facciale. In questo modo l’attenzione è concentrata sul corpo e più precisamente sul tronco, centro della respirazione, motore di ogni sentimento e quindi di ogni movimento. Il primo passo è l’osservazione degli elementi naturali: l’acqua, il fuoco, la terra e l’aria, con l’obiettivo di coglierne le dinamiche intrinseche e trasformarle in respirazione e in movimento astratto. Dalla linea di forza che nasce dal respiro, vengono coinvolti poi solo in un secondo momento gli arti e la testa. Il passo successivo è quello di togliere la maschera facendo intervenire suono, parola e testo operando una trasposizione teatrale. Tale ricerca ha l’obiettivo di portare una recitazione meno stereotipata poiché nata dall’esperienza delle molte sfumature presenti nella gamma dei sentimenti umani e da una potenzialità espressiva più consapevole.
Approcciando la ricerca di una recitazione naturale ed essenziale, l’attore si confronta con le origini del teatro, ovvero con una rappresentazione simbolica ed evocativa di segni. La ricerca, a questo punto, segue due strade parallele: quella verbale attraverso i miti e quella gestuale attraverso i riti.
Rituale Propiziatorio
All’alba dei tempi, i popoli primitivi credevano nella mistica unione di tutti gli esseri animati e nella forza
creatrice che ne scaturiva: dallo sforzo di immedesimazione con la natura nasce lo spirito di imitazione degli
animali e l’astrazione catartica delle forze che muovono il mondo che sta alla base delle danze dei rituali e quindi
alla base stessa del teatro come rappresentazione evocativa e propiziatoria. Il rituale ha come culmine proprio la
creazione e l’esaltazione del Totem, che rappresenta l’unione mistica fra l’animale e l’uomo e che ne evoca la
potenza.
I testi propiziatori sono tratti da miti africani, amerindi, asiatici ed indoeuropei.
Rituale Funebre
Le danze funerarie, presenti in tutte le religioni animistiche, avevano lo scopo di proteggere sia il defunto che
l’intera tribù dagli spiriti del male. In un legame estatico i vivi aiutavano i trapassati a raggiungere sicuramente
gli spiriti degli avi. Nessun rito ha un’essenza tanto “vitalistica” quanto quello funebre: la danza che ne nasce ha
una forte base ritmica e tutti i movimenti, sono eseguiti con il massimo del vigore per creare una circolarità che
evochi l’infinito.
I testi funebri sono tratti da miti africani, amerindi, asiatici ed indoeuropei.
Rituale di Combattimento
Rappresenta il gioco-preparazione della guerra. Le tribù si confrontano in coreografie che allenano il corpo ai
rapidi scatti di attacco e difesa e che rappresentano lo scontro con il nemico, nelle sue varie fasi, fino
all’augurale epilogo della vittoria e del trionfo. Due cori antagonisti si fronteggiano esorcizzando i violenti
aspetti della guerra attraverso l’astrazione della lotta danzata.
I testi di guerra sono tratti da miti africani, amerindi, asiatici ed indoeuropei.
La tragedia greca, il primo stile propriamente teatrale affrontato nel 1° anno di corso, è il punto di partenza per
rintracciare le dinamiche essenziali che disegnano i conflitti dell’uomo, il dramma del conflittuale rapporto
dell’uomo con gli Dei, il destino, la trascendenza.
L’esperienza della tragedia, è il riconoscere l’appartenenza dell’uomo ad un passato comune dell’umanità tutta;
scoprire quindi cosa significa “essere un coro” all’interno di uno spazio scenico.
Lo spazio scenico tragico
Punto di partenza è la ricerca e il riconoscimento dei livelli spaziali a cui indirizzare e spingere il testo:
- verso l’alto come appello alla divinità, ad esprimere il dramma dell’uomo nel rapporto tra
Cielo e Terra
- in apertura frontale verso la città: è l’atteggiamento dell’uomo coraggioso, del
condottiero, dell’eroe
- verso terra, a manifestare pietà nei confronti della condizione umana e nell’appello agli Dei degli
Inferi.
Il coro greco
Il coro antico, elemento imprescindibile della tragedia greca, svolge diverse funzioni: si fa interprete e giudice della condizione umana, narra la vicenda epica e soprattutto ha il compito di amplificare le tensioni drammatiche del corifeo. Così ad ogni azione del corifeo segue la risposta del coro a rappresentare consenso o conflitto. Il lavoro sulla formazione del coro dà modo di affinare la sensibilità all’ascolto, di avvertirsi come un unico insieme organico in grado di modificare gli equilibri dello spazio scenico e di sperimentare strutture ed immagini corali dal forte impatto simbolico e rappresentativo.
L'eroe, il corifeo, il poeta, l’oratore, il sacerdote
L’azione dell’eroe, rappresenta il viaggio dell’uomo verso l’ignoto; questo percorso si divide in più fasi: il distacco, la prova risolutiva e il ritorno per diffondere la conoscenza. Il lavoro sull’interpretazione, parte con lo studio della retorica dell’oratore, segue il racconto narrativo del corifeo, lo studio del “verso” affidato al poeta e infine il sacerdote che sperimenta un testo evocativo o premonitore con riferimenti simbolici ai rituali animistici.
Studio dei testi tragici
I monologhi e dialoghi tratti dalle principali tragedie di Eschilo, Sofocle ed Euripide, vengono affrontati con un’osmosi tra testo e architettura dello spazio scenico. Il monologo tragico è infatti un momento catartico in cui confluiscono le tensioni ed i conflitti della vicenda narrata. Il lavoro sugli elementi (acqua, terra, fuoco, aria) viene ora applicato alla recitazione del testo.
Spettacolo conclusivo
Sul tema della Tragedia greca si costruisce il primo spettacolo dell’Accademia. Il mito viene rappresentato dagli attori che mettono in scena il testo, divenendo al tempo stesso eroi, coro, scenografia umana e rituale danzato che amplifica l’azione e la parola degli altri attori recitanti. La trama procede in una serie di quadri scenici giustapposti che dissolvono l’uno nell’altro. Il risultato è un lavoro individuale sul testo epico, che si coniuga ad una potente dimensione corale.
Il Teatro Rinascimentale è l'unione dei generi drammaturgici e delle diverse forme di rappresentazione teatrale. Era manifestato nelle corti, nelle piazze e nelle università in molteplici forme, dalla sacra rappresentazione fino alle commedie colte quattrocentesche rappresentate dagli intellettuali al servizio delle corti. La professionalità dell'attore non era riconosciuta, sebbene la professione esistesse già dal tempo dei giocolieri di piazza e i buffoni di corte, ma si sviluppò dalla metà del XVI secolo fino a tutto il secolo successivo con la Commedia dell'arte. Se da una parte la nascita della commedia rinascimentale permise lo svilupparsi di una forma autonoma di prosa teatrale, dall'altra la tradizione dei giullari e dei guitti non andò perduta, permettendone la perpetrazione grazie ai buffoni di corte e ai mimi. I loro lavori non si ispiravano in alcun modo alla tradizione latina e presentavano dei moduli che in parte confluiranno nella Commedia dell'Arte. Il secondo periodo di studio affronta le diverse forme narrative, dal racconto cavalleresco alle storie orientali, dal narratore/mimatore alle favole della tradizione occidentale.
Il racconto letterario: cortese, sacro e profano
- Cortese cavalleresco
- Lirico della poesia dei trovatori
- Misteri e Sacre rappresentazioni
Caratteristiche del romanzo cavalleresco:
- L’amore ha un ruolo preponderante, assume le forme dell’amor cortese
- Privo di ogni referente storico, tratta materie puramente leggendarie
- Domina un immaginario di tipo fantastico e fiabesco, basato su antiche leggende celtiche.
Struttura:
- Le storie si susseguono all’infinito con uno sviluppo dinamico ricco di colpi di scena
- Uso della rima agile e scorrevole
- Le canzoni di gesta
Il Teatro della Fiera nasce dalla tradizione orale e popolare delle grandi fiere che, nei secoli XII
e XIII, animavano Parigi e i grandi centri abitati europei: nel Medio Evo scompare l’edificio teatrale; proprio per
la mancanza di una struttura teatrale, lo spettacolo si svolge in luoghi pubblici, come la chiesa, la piazza e la
strada o in luoghi privati come le sale aristocratiche. La ripresa di un’attività economica dopo la caduta
dell’Impero Romano, i mercanti e le merci esotiche riportate dai viaggi ora più frequenti, il riaffermarsi di giochi
e tornei e la celebrazione di feste sacre o profane, rendono le piazze un luogo di incontro fra la popolazione e una
spettacolarità variegata e diffusa. Attori, poeti, saltimbanchi, buffoni di piazza, musici, cantori di gesta,
maestri di danze e ciarlatani rendono il tempo della festa un tempo teatrale. I “Forains”, gli attori girovaghi,
trasformano la piazza in un palcoscenico “en plein air” per i loro racconti senza tempo. L’evoluzione di questo tipo
di narrazione sfocia nel racconto “grandguignolesco” che trasforma le tradizionali fiabe infantili, in cruenti lazzi
grotteschi.
Gli allievi si confrontano con questo particolare stile affrontando le varie modalità di racconto.
Il lavoro sulla maschera neutra viene contaminato dalle arti marziali, dal Thai Chi Chuan e dalla pratica Zen e torna nuovamente a centrare l’attore sul respiro, sul sentire e l’essere che vengono affrontati in questo periodo della didattica con lo studio delle filosofie orientali, dei testi sacri dell’India, del Taoismo e del Tibet. Parallelamente al Teatro della Fiera, si lavorerà quindi su una tipologia di narrazione antitetica a quella della tradizione occidentale: attraverso le favole Zen, dalla parola essenziale e simbolica, le favole Tibetane, in cui il gesto fiorisce barocco, e la spregiudicata comicità delle storie Mongole e Cinesi, ci si avvicinerà al racconto mitico della tradizione orientale.
Nel primo anno getteremo le radici attraverso diversi percorsi che avranno come finalità: l'osservazione e la riscoperta della vita come fenomeno, elevare il livello recitativo ed esplorare la profondità della poesia, delle parole, dei colori, dei suoni. L'obiettivo è la creazione drammatica, la scoperta dei vasti territori espressivi, la geodrammatica. Fare emergere un teatro in cui l'attore sia in gioco per reinventare il teatro senza mai perdere di vista l'essenziale, ovvero le dinamiche della natura e delle relazioni umane, motore del gioco recitativo.
Il lavoro di studio e costruzione dei personaggi viene preceduto da un periodo di ricerca preliminare sulle “zone del
silenzio”, in cui il respiro porta il sentimento e rende il corpo parlante. Strumento di questa ricerca sono le
maschere del Carnevale di Basilea, dette larvali: maschere dall’aspetto non del tutto definito nelle quali
l’espressione del viso si modella secondo il movimento e la respirazione impartita dall’attore, con un effetto
generale di dilatazione dei tempi di reazione che mette in luce l’essenzialità dei sentimenti umani. Gli artigiani
di Basilea le suddividono in quattro categorie: gli animali, i folli del paese, gli estroversi in espansione, gli
introversi in contrazione.
A livello propedeutico queste maschere spingono l'attore alla ricerca del "silenzio parlante" e
soprattutto alla decomposizione dei tempi di "azione-reazione" del personaggio.
Lo studio dei caratteri della commedia umana, parte dall’analisi della vita quotidiana e dall’osservazione del comportamento: gesti, posture, reazioni incontrollate dell’uomo, in particolare quando interagisce con i suoi simili. Grazie al lavoro teorico-pratico sull’analisi socio comportamentale di Desmond Morris, scopriremo che le azioni e le reazioni inconsapevoli parlano un linguaggio spesso molto più rivelatore della parola. Con le improvvisazioni ambientate nei luoghi e nelle situazioni del nostro vivere comune (la stazione, la fermata dell’autobus, l’ascensore, un pranzo, un incontro, un’attesa, etc.), l’attore si allena a spogliarsi dalle reazioni convenzionali e a ricercare, in sé e nel rapporto con gli altri, un’autenticità interpretativa.
A questo punto, tutto il lavoro preparatorio di osservazione dei personaggi della vita quotidiana e di sperimentazione con le maschere su posture e qualità di respiro che caratterizzano le varie tipologie, si applica nella creazione di un personaggio. In primo luogo il personaggio si caratterizza con dei segni esteriori: la camminata, la musicalità nella parola, il suo modo di reagire e di relazionarsi. Viene poi ricostruito un preciso contesto (ad esempio una conferenza sulla comunicazione o un meeting organizzato da un’agenzia matrimoniale, etc.) nel quale ogni attore abiterà il personaggio prescelto. Questo tipo di improvvisazione metterà a confronto i vari personaggi e ne farà le sfumature psicologiche e fisiche (vezzi, tic, manie). Gli allievi dovranno costruire un’identità ben caratterizzata per il proprio personaggio e, per testarne la credibilità e la definizione, dovranno “indossare” fin da casa il personaggio e farlo vivere nella quotidianità di un mezzo pubblico, di un caffè al bar. Successivamente, l’interazione fra i personaggi viene sottoposta ad una fonte di forte stress emotivo simulando situazioni di emergenza (black out, incendi, incidenti di diversa natura, etc.) o surreali: il panico e lo spirito di sopravvivenza risvegliato, alimenteranno reazioni incontrollate che faranno emergere la natura nascosta di ogni personaggio o il desiderio celato di essere altro da sé: “il contropersonaggio”. Un pavido potrà dimostrare coraggio, un timido sfrontatezza trasformando così la situazione dal quotidiano al surreale. Sulla base di quanto emerso nelle improvvisazioni si potranno creare brevi sceneggiature, più articolate ed organiche.
Questo metodo di lavoro, nella costruzione del personaggio, permette di analizzare attraverso la medesima lente dialoghi e situazioni di letteratura teatrale tratti dalle opere di alcuni autori dei primi anni del ‘900 quali Cechov, Lorca e Pirandello; motivazioni e circostanze date in cui agisce il personaggio sono questa volta fornite dall’autore. L’evoluzione del personaggio è legata alla trama e le sue linee psicologiche e comportamentali si devono evincere in parte dall’analisi del testo e in parte da un personale percorso interpretativo.
Dal lavoro dell’attore al lavoro su di sé, il “metodo” del maestro russo Konstantin Stanislavskij parte da due
processi fondamentali per la costruzione del personaggio: il “Processo di Personificazione” e il “Processo di
Reviviscenza”.
Il “se” e le “circostanze date” pongono l’attore nella condizione creativa del domandarsi come si comporterebbe in
quella situazione, esattamente come fa un bimbo nei suoi primi giochi. Nella costante ricerca del “vero”,
contrapposto ai cliché della recitazione enfatica, l’attore deve fare appello alla propria “memoria emotiva” per
riprovare i sentimenti vissuti e mantenerli vivi fino alla messa in scena e al proprio “training fisico” con cui
negli anni plasma il suo corpo come uno strumento flessibile.
Un ulteriore approccio al lavoro sulla costruzione del personaggio è dato dallo studio del metodo di Lee Strasberg, che ha sviluppato in America un sistema di lavoro partendo da alcuni elementi della pedagogia teatrale di Kostantin Stanislavskij, concentrandosi prevalentemente sull’uso della memoria emotiva. L’attore si libera dalla finzione se non imita, ma diventa il personaggio da rappresentare, in una sorta di immedesimazione. Il training in questo caso è emotivo e, partendo da un’analisi psicologica e comportamentale del personaggio, l’allievo viene portato ad assumerne l’identità più intima. L’obiettivo è scoprire le motivazioni, la personalità, i sentimenti del personaggio sulla base dei propri, conoscere il suo corpo, le sue emozioni, le sue reazioni profonde. Le improvvisazioni si basano sull’interpretazione di situazioni emotivamente analoghe a quelle contenute nel testo, ma senza il sostegno delle battute. Gli esercizi di memoria affettiva, consistono invece nel rivivere delle esperienze del proprio passato, in modo da rievocare i sentimenti entrati in gioco in quel dato momento, utilizzandoli poi per creare un personaggio vero e credibile.
Se il metodo Stanislavskij viene utilizzato nell’ambito di una ricerca prettamente teatrale, l’approccio al metodo Strasberg è propedeutico ad un’applicazione maggiormente cinematografica. Infatti, a conclusione del lavoro sul metodo Strasberg, gli allievi si confronteranno con la macchina da presa. Attraverso esercizi di rilassamento, di controllo e dosaggio espressivo, si imparerà a favorire l’occhio ravvicinato dell’obiettivo, in base alla ripresa (campo stretto, primo piano, piano americano). Quindi ci si allenerà ad entrare nel personaggio nel tempo di un ciak, a interpretare un segmento di storia in forma non consequenziale e a ripetere l’azione più volte senza per questo perdere freschezza e credibilità.
Si parte dalla visione, dall’analisi e infine si arriva all’interpretazione di scene tratte dal cinema d’autore:
Luchino Visconti, Dino Risi, Michelangelo Antonioni, Mario Monicelli, Ettore Scola, Ingmar Bergman, Vittorio De
Sica, Jaques Audiard, Berry Levinson, Pedro Almodovar, Eric Rohmer, Ken Loach, Cédric Kaplisc, Patrice Leconte.
Inoltre verranno lavorate alcune scene tratte dalla “fiction italiana” di qualità.
Il programma prevede poi che gli allievi interpretino le scene assegnate di fronte alla telecamera come un vero e
proprio girato allo scopo di impadronirsi della “tecnica recitativa in camera” applicando le regole dello spazio e
delle entrate e sperimentando una presenza scenica disinvolta e naturale. Verranno applicati tempi e metodologie di
riprese e movimenti scenici cinematografici e televisivi.
Inizialmente il lavoro dell’allievo sarà soprattutto emotivo: dalla costruzione di un training personale,
all’osservazione ed analisi del personaggio, fino ai dettagli fisici. Poi la ricerca coinvolgerà la pulizia e
l’essenzialità della battuta e del movimento scenico, senza trascurare i molti dettagli che completano la
caratterizzazione del personaggio.
Successivamente si affronta una fase più “tecnica” lavorando sull’unità di base del linguaggio cinematografico:
“l’inquadratura”, detta anche “piano”. L’allievo dovrà esercitarsi nelle dinamiche del “campo-controcampo”,
“sentire” i movimenti di macchina e saper prendere la luce, sostenere il “primo piano” (inquadratura dalle spalle in
su), il “primissimo piano”, (inquadratura della testa e una parte del collo), il “piano americano”, (dalle ginocchia
in su) e la “mezza figura”, (inquadratura che coincide con la linea della vita del personaggio) per arrivare infine
a utilizzare gli occhi come forma espressiva minimalista e ad entrare a filo macchina.
L’ultima fase didattica del primo anno di corso si concentra ora sulla ricerca del sentimento, dal lirismo di un testo poetico al crudo realismo delle ambientazioni di guerra.
Il periodo storico che va dall'800 ai nostri giorni, con le sue rivoluzioni, i suoi conflitti, le sue grandi migrazioni è un terreno estremamente fertile su cui esercitare l'interpretazione della vasta gamma dei sentimenti umani.
Recitazione melodrammatica
Rispetto alla tragedia antica, il dramma moderno vive di un diverso respiro, più morbido e sospeso, che modifica la recitazione con un timbro vocale più lirico ed intimista ed un movimento che nasce dal gioco di attrazioni e repulsioni.
Sincerità interpretativa
L’attore intraprende lo studio sulla sincerità interpretativa lavorando sul sentimento, dalla lettura in versi ad una vera e propria ricerca teatrale e poetica sull’emozione: amore, odio, speranza, orgoglio, forza, debolezza e nostalgia; passioni comuni che l’attore esplora dentro di sé, all’interno di ambientazioni drammatiche. Nascono così improvvisazioni specifiche: l’incontro, l’abbandono, il tradimento, la separazione, la nostalgia, il conflitto sociale, la guerra, l’esodo.
I personaggi
I personaggi sono uomini straordinari e comuni a volte sconosciuti, che vanno dalla prima “era industriale”
ai giorni nostri: orfane abbandonate, usurai spietati, mercanti di schiavi, marinai, prostitute, soldati e
combattenti, amanti straziati, emigranti in cerca di fortuna.
Si uniscono in questa fase di studio diversi percorsi di ricerca affrontati durante l'anno: dal lavoro sul
personaggio, all'abilità narrativa, dalla stilizzazione ed astrazione di sentimenti e passioni, alla
creazione di una sceneggiatura in grado di utilizzare le tecniche cinematografiche (flash back, dissolvenze, piani
sequenza, campo e contro campo) per strutturare un racconto che necessariamente prevede testimonianze frammentarie e
salti temporali.
Narrativa, racconti e poesie d’autore
Lo studio della letteratura romantica dall'ottocento ad oggi, le poesie e le opere di narrativa dei grandi autori di questi secoli, da Maupassant a Rimbaud, da Neruda a Eluard, da Apollinaire a Hikmet da Rilke a A'isha Arna'ut, diventeranno la base di partenza del lavoro di elaborazione dei testi e di brevi scritture poetiche da trasporre sulla scena. Lo scopo di questo studio è quello di sviluppare una capacità interpretativa evocativa dei pensieri, delle immagini, dei suoni e dei significati più profondi che ogni singola poesia porta in sé.
Esasperazione del sentimento
Quando la tragicità dei destini umani diviene esasperata, il dramma si trasforma in riso: le stesse storie, gli stessi personaggi visti sotto un'altra lente assumono tratti grotteschi. Così gli allievi scoprono le potenzialità tragicomiche del melodramma e si confrontano con la creazione di brevi sceneggiature con meccanismi farseschi: il “narratore/mimatore”, la “voce off” del narratore in relazione al dialogo muto, il disfunzionamento del meccanismo narrativo, lo scambio dei ruoli, etc.
Dalla Pantomima bianca al "Ragtime"
Partendo dalla recitazione del cinema muto, carica di enfasi mimica, esagerazione dell'espressività
facciale coniugata al movimento scenico, arriviamo allo studio della pantomima accelerata e alla sua evoluzione nel
mondo dell'immagine. La pantomima è l'arte del racconto silenzioso; utilizza il linguaggio
mimico, componendo un vocabolario di significati gestuali che descrivono personaggi, ambienti e sentimenti. La
pantomima bianca ottocentesca del Pierrot lunare, introduce lo studio del melodramma poetico.
La sua evoluzione
storica, grazie anche alla nascita della fotografia e del cinema muto, spinge verso una forma caricaturale
trasformando i personaggi acquosi, in tipi fissi dalla mimica accelerata. Le scritture sceniche in questa fase
avranno dunque come referente stilistico il “cinema muto anni '20”: cadute, equivoci, torte in
faccia al tempo di “ragtime” (Chaplin, Keaton, fratelli Marx, Stan Laurel e Oliver Hardy).
La voce è il principale strumento con cui l’essere umano realizza la comunicazione trasmettendo idee, emozioni, sentimenti, personalità stati d’animo. La conoscenza del funzionamento dell’emissione vocale e la capacità di agire su di esso sono quindi alla base delle tecniche interpretative per l’attore. La funzione fonatoria è assicurata in particolare dalla attività delle corde vocali che determinano la trasformazione dell’energia aerodinamica, generata dal sistema respiratorio, in energia acustica. Il risultato sonoro conseguente alla vibrazione cordale viene infatti integrato da quel sistema di cavità di risonanza ed organi articolatori che permettono la modulazione del suono laringeo fino alla formazione del linguaggio parlato. L’azione coordinata di questi differenti organi permette la caratterizzazione della voce nei tre parametri fondamentali: intensità, frequenza o altezza tonale e timbro. Il metodo ortofonico imitativo si fonda sull’ascolto e sul fenomeno del contagio della pronuncia: salvo rari casi legati a specifiche patologie, tale metodo si dimostra particolarmente funzionale nella correzione dei difetti di pronuncia basandosi sul principio di legare ogni fonema impreciso a fonemi che si formano in posizioni attigue (sulla lingua, sul palato) e che fanno già parte del patrimonio dell’allievo. Tale metodo si fonda su un’esperienza fisica affidandosi alla capacità propriocettiva del corpo, mentre il lavoro sulla voce parte da un corretto utilizzo della respirazione per il miglioramento del volume e della qualità timbrica della voce fino ad arrivare ad un consapevole utilizzo dei toni, dei ritmi, dei colori e dei volumi.
- Tecniche di emissione, fono-articolatorie e dei risuonatori
Leggere ad alta voce è una competenza fondamentale del lavoro di un attore, che si trova a metà fra le tecniche di immedesimazione e quelle di straniamento e che gode di notevoli applicazioni pratiche: dalle prove “a tavolino” del teatro di prosa, alle performance al leggio, dalle letture di opere letterarie radiofoniche e dal vivo agli audiolibri. Nelle tecniche di lettura, la didattica della recitazione viene in aiuto nel rendere naturale un percorso altamente artificiale e nel rendere comunicativamente più efficace quella che di fatto è una messa in scena: si tratta infatti di far sembrare ‘parlata’ una porzione di testo che ‘parlata’ non è e di far sembrare ‘pensata in diretta’ una stringa di linguaggio che pensata non è. Il lavoro si colloca in una zona pre-interpretativa partendo dal presupposto che per arrivare a un’interpretazione brillante bisogna reimparare a leggere e che prima di applicare degli abbellimenti espressivi sul testo (particolare uso della voce, intensità melodica di certi passaggi, vibratilità emotiva, caratterizzazione dei personaggi) sia necessario in primo luogo capire e comunicare qualcosa che è nel testo e che lo costituisce in quanto tale. Per attivare questa zona, è necessario utilizzare tutto il corpo attraverso un processo che si avvale di movimenti e gesti esercitabili con le metodologie teatrali basate sull’espressività corporea, l’organicità degli impulsi e il concetto di azione; la comprensione e l’attenzione dello spettatore sta nel legame tra gesto e discorso, tra movimenti del corpo e intonazioni.
Il percorso legato alle tecniche di movimento, nel primo anno è volto a migliorare il senso di sé e la consapevolezza del proprio corpo in relazione allo spazio e agli altri. Attraverso l’analisi del proprio movimento naturale e l’esplorazione della struttura corporea, si sperimentano le tecniche di training e di movimento che arricchiscono le capacità espressive non verbali sviluppando controllo, energia e creatività.
- Tecniche di rilassamento
- Elementi di Yoga
- Bioenergetica
- Stretching
- Esercizi sulla fiducia
- Analisi e decomposizione
- Sviluppo nello spazio
- Il ritmo, l'equilibrio
- La grammatica del gesto
- Ricerca della neutralità
- I piccoli e grandi spazi
- Elementi, materie, animali, colori e stagioni
Il percorso didattico delle Tecniche della Danza, parallelo allo studio degli stili interpretativi, amplia le possibilità espressive attraverso le molteplici possibilità dello strumento del corpo. Così l’Afro-danza è propedeutica allo studio della Tragedia nel rapporto con l’elemento terra, nel concetto di coro e nell’aspetto mistico/ritualistico; le danze di corte, dalle rinascimentali alle barocche fino alle danze settecentesche, evocano le ambientazioni del Teatro della Fiera ed Elisabettiano; il Tango e il Valzer, danze teatrali per eccellenza, rafforzano e rendono peculiare lo studio della relazione scenica fra i personaggi. A ciò si aggiunge lo studio dell’espressione e relazione corporea, del movimento consapevole ed economico e del movimento in relazione alla voce e allo spazio. Il percorso di studio del 1° Anno si sviluppa in due fasi: la prima è orientata alla scoperta e consapevolezza dei principi di movimento, presenza scenica e improvvisazione, la seconda consiste in un'esperienza performativa che approfondisce il lavoro sulla presenza scenica attraverso improvvisazioni espressive, compositive e di relazione scenica.
- L’elemento “terra”
- Ritmo base
- Movimento base
- Danza ritualistica
- Stilizzazioni animistiche
- Tecnica Yoruba: Elleguà - Yemaya - Changò
- Danze popolari e di corte
- Danze di sala e stilizzazioni
- Valzer-Tango e stilizzazione
- Passo a due
- Combattimento scenico
- Parate allegoriche
- Rituali: propiziatorio, combattimento, funebre
- Formazione del coro
- Movimento economico
- Movimento - Voce - Spazio
- Conctact Improvisation
Per trasmettere un messaggio, comunicare un’emozione o raccontare una storia, le parole non sono l’unico strumento
che abbiamo a disposizione, c’è una forma potente di linguaggio condivisa da tutto il genere umano e basata sui
gesti e sulle espressioni: il non verbale. Il mimo è costituito esclusivamente dalla gestualità e non contempla
l’uso di alcun tipo di parola o suono; imita la vita reale partendo da una decomposizione metodica, simulando con
estrema precisione la presenza di oggetti o forze attrattive o repulsive. La pantomima è anch’essa una
rappresentazione scenica muta, costituita dall’azione mimica, dall’espressione del viso e dai movimenti del corpo
ma, a differenza del mimo, può essere accompagnata da musica, suoni e voci fuori campo ed è finalizzata al
raccontare una storia.
Secondo la metodologia del mimo corporeo sviluppata da Étienne Decroux, il corpo umano è scomponibile in segmenti e
parti come una macchina, ma tale scomposizione è finalizzata alla ricerca dell’unità tra il corpo e lo spirito.
Questo avviene attraverso una disciplina espressiva che allena alla rappresentazione mimica degli oggetti che
abbiamo quotidianamente intorno (manipolazione) e a capire i movimenti che facciamo quando siamo a loro contatto
(punto fisso e traslazioni).
E’ un metodo basato essenzialmente sulla percezione di sé e sulla memoria gestuale: non basta immaginare
intellettualmente l’oggetto, bisogna che il corpo lo “senta” fisicamente attivando nella manipolazione i muscoli
coinvolti con il medesimo sforzo che impiegherebbero con l’oggetto reale a seconda del peso, della forma e delle
dimensioni da rispettare.
Nel primo anno di corso lo studio delle discipline della musica e del canto è finalizzato a stimolare negli allievi l’attitudine all’ascolto, all’armonizzazione, al senso del ritmo, all’improvvisazione rispetto ad una partitura data. In questo modo le tecniche d'impostazione vocale divengono una palestra per l’attore funzionale alla performance teatrale.
Lo studio della storia del teatro parte dalle forme di drammatizzazione dei popoli primitivi, legate ai miti e ai rituali; affronta poi il teatro greco e la tragedia antica del V secolo approfondendo la figura dell’eroe e il suo percorso evolutivo. Il processo prende il via dagli eroi omerici, il pensare alle proprie azioni e la molteplicità dei futuri possibili, ma soprattutto con Edipo, che tramite una profonda capacità introspettiva si avvicina alla dimensione della tragedia. Il percorso evolutivo procede allora sulla strada tracciata da Edipo incontrando le diverse interpretazioni dei tre tragediografi classici, Eschilo, Sofocle e Euripide, che progressivamente tolgono all’eroe la certezza delle sue azioni. È infatti nella dimensione tragica che può mostrarsi la vera natura dell’uomo, pieno di dubbi, incerto, gettato in un mondo in cui cerca disperatamente il proprio posto.
La scrittura segue in modo puntuale lo studio dell’interpretazione. Nel primo anno gli studenti si esercitano nella
scrittura e messa in scena di poesie, monologhi e narrazioni, sia originali che d’autore.
Ci si cimenta così con brevi messe in scena che mettano a confronto gli allievi con gli aspetti registici della
rappresentazione: dalla selezione ai tagli del testo, dallo stile narrativo all’individuazione dei linguaggi scenici
più adatti a rappresentarlo, dalla scelta di una colonna sonora all’allestimento scenico. Le elaborazioni personali
degli allievi vengono guidate attraverso le tecniche di scrittura creativa e l’applicazione dei modelli più
funzionali alle necessità narrative: introduzione di elementi archetipici nei personaggi e assegnazione della loro
funzione, divisione della narrazione in tappe (patterns), individuazione delle linee narrative, individuazione
dell’obiettivo di ciascuna scena, accorpamenti di funzioni e tagli delle scene, trasposizioni, spostamenti d’asse,
spin-off.
Si parte dall’individuazione e dall’analisi delle strutture narrative di opere teatrali, letterarie e
cinematografiche seguendo il noto e consolidato schema applicativo esposto nei testi “L’eroe dai mille volti” di
Joseph Campbell e “Il viaggio dell’eroe” di Chris Vogler che individuano in ciascun racconto dodici fasi (stages)
sulle quali insistono delle varianti (patterns); tali fasi non sono altro che le tappe del viaggio esteriore ed
interiore che l’eroe compie nell’arco narrativo:
- Mondo ordinario
- Chiamata all’avventura
- Rifiuto della chiamata
- Incontro con il mentore
- Superamento della prima soglia
- Prove, nemici, alleati
- Avvicinamento alla caverna più recondita
- Prova centrale
- Ricompensa
- Via del ritorno
- Resurrezione
- Ritorno con l’elisir
All’interno di queste strutture ripetitive ricorrenti, l’eroe viene in contatto con altri personaggi, ciascuno dei
quali svolge uno o più ruoli necessari all’evoluzione della trama e dell’eroe stesso. Approfondendo la struttura del
Mito, tappe e personaggi vengono analizzati in quanto “archetipi” ovvero individuandone la funzione. In un secondo
momento si procede con l’elaborazione di diverse scritture personali che rielaborino il modello in base alle
esigenze narrative, mantenendo tuttavia uno schema elaborativo che permetta di effettuare modifiche e tagli scenici
mantenendo l’organicità narrativa.
La storia del costume teatrale è strettamente intrecciata a quella della moda e a quella del teatro stesso: la costumistica infatti, da elemento funzionale alla messa in scena (rendere riconoscibile da lontano caratteristiche e stato sociale di un personaggio) è diventato con gli anni anche uno strumento espressivo; dalla ricerca filologica e naturalistica di modelli e tessuti fino alle rivisitazioni più ardite, il costume è elemento fondamentale delle scelte registiche e stilistiche. Così pure il trucco, da sempre amplifica l’espressività attoriale , aiuta nella caratterizzazione interpretativa del personaggio, e gioca con le trasformazioni fisiche dalle più illusorie alle più espressioniste. La progettazione del costume teatrale tiene conto non solo dell’attendibilità filologica del modello (che può essere rispettata o volutamente stravolta) ma, di concerto con l’ideazione registica, utilizza determinati tessuti in virtù delle linee che disegneranno in scena (morbide, fluttuanti, rigide, taglienti) e determinati colori sia in chiave simbolica che suggestiva; per far sì che tutti i costumi siano armonici fra loro, si utilizza in fase progettuale lo strumento del moodboard, ovvero un collage di immagini molto diverse fra loro (di luoghi, colori, elementi, cibi) che supportano la scelta dei costumi individuando uno specifico concept iconografico. Così pure fra l’ideazione del trucco del personaggio e la sua applicazione pratica, viene utilizzato lo strumento della face-chart: un disegno stilizzato del volto su cartoncino poroso sul quale, in fase di progettazione, si costruisce il make up disegnando le caratteristiche e particolarità del volto che si vogliono esaltare (sopracciglia, zigomi, forma delle labbra) sia in modo naturalistico che espressionistico e utilizzando quindi su carta gli stessi prodotti che si applicheranno al viso, in modo da poterne studiare tutti i dettagli e poi riprodurre esattamente lo stesso trucco dal vivo.
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